domenica 13 ottobre 2013

Il retrobottega misterioso


Mi sveglio nel tardo pomeriggio dopo due, misere, ore di sonno. La sensazione e' sempre quella di avere 39 febbre (ma son coglione io che insisto nel dormire dopo pranzo, ma non posso farne a meno ultimamente). Mentre mi lavo i denti, la mia Lei mi squilla. E' sotto casa, che mi aspetta. Sputo nervosamente il dentrifico misto all'acido muriatico del dopo sonno e mi fiondo per strada. L'ora e' quella giusta, il sole inizia a calare. Un flebile venticello mi distrae dal rincoglionimento post-dormita, ma non basta.
"Facciamo caffe' al volo?". La mia Lei annuisce. Dopotutto sa, quasi piu' di me, quanto un sonnellino pomeridiano possa devastare il corpo e lo spirito.
Giungiamo quindi al bar vicino casa, un posto abbastanza sfigato e lontano quanto basta dalla strada principale, dettaglio questo che e' costato tre (o quattro) fallimentari cambi di gestione. Ma poco importa. Il locale è ora caratterizzato da un abbondante uso di bianco, da pochi pezzi d’arredo e qualche sgabello, anche fuori. Mentre sorseggio avidamente la mia dose di caffeina, rigorosamente zuccherata x2, noto un dettaglio che rimanda alla memoria la mia adolescenza, o addirittura ad un periodo precedente. Il "retrobottega".
Ma prima, facciamo un salto nel passato. Anni '90, l'inizio. Erano le estati de "al pomeriggio ci vediamo al campetto". Le estati delle uscite con gli amichetti sotto il cortiletto del proprio condominio. Dei primi discorsi sul senso della vita e dell'amore, magari leccando avidamente un ghiacciolo al limone (segaioli mentali si, ma anche sudati). Ma era anche il periodo in cui le sale giochi erano un fiorire di elementi poco raccomandabili, aria irrespirabile e coin-op. Tanti, tantissimi, coin-op. Tuttavia, i cabinati giusti potevi ritrovarli ovunque, anche sotto casa. E appunto, la mia fortuna era avere non uno, ma bensì tre cassoni d'antologia (più un Flipper) proprio al baretto sotto casa, nascosti in uno stanzino rettangolare discretamente buio, situato proprio dietro al bancone.
Il "retrobottega" per l'appunto.
Inutile citarne i titoli, non li ricordereste (anzi, invece lo faccio: Knights of the Round, Samurai Shodown e, ovviamente, sua maestà Street Fighter II). Praticamente, la Santissima Trinità videoludica. Ed ogni pomeriggio, era un tintinnio di monete, 200 lire in tasca e grida di ludogodimento. Anno 2000 e 13. Il tempo è trascorso, i capelli son caduti (divenendo barbaccia incolta) e le Lire sono diventate cenere. Ma quel "retrobottega" è ancora li, poco illuminato, nonostante il bianco ne indori le fattezze. Seduta stante non ho osato avvicinarmici, al di fuori di una fugace occhiata. Non ho osato varcare la soglia della stanza, quasi come se una barriera invisibile mi precludesse l'accesso. Il perché è presto detto: dei cabinati, sicuramente, non vi è più traccia. Le sale giochi sono morte, è un dato di fatto, e i coin-op sono diventati pezzi da museo (al di fuori di qualche cassone contenente 40 titoli emulati più o meno decentemente, magari avvistabili in qualche localaccio del lungomare).
Ma il mio terrore era che, una volta entrato in quello stanzone, mi sarei ritrovato in ginocchio ad imprecare osservando le odiose macchinette mangiasoldi del video poker e le slot machine, vero e proprio cancro di questa italietta tutta Gratta & Vinci e Superenalotto, capaci di mandare sul lastrico l'imprenditore tanto quanto il pensionato. Come spesso si dice in questi casi: occhio non vede, cuore (di videogiocatore) non duole. Quindi, finito il caffè, la mano afferra il portafogli per pagare il tutto. Senza pensare che, solo pochi anni addietro, la sola richiesta era perennemente quella di "spicciare le 5.000 Lire in monetine da 200".
Tempo canaglia.
Uscito dal bar, il sole è sempre più basso e, mano nella mano con la mia Lei, ci appropinquiamo a procacciarci del cibo. Ma la sensazione è quella d'aver lasciato sbadatamente qualcosa nel bar, di aver perduto (di nuovo) un pezzo d'infanzia. Quell'infanzia spensierata fatta di cazzeggio imperturbabile, monetine e tanto, tanto divertimento.
Che sia anche solo schiaffeggiare i cavalieri di Re Artù o picchiare un karateca rosso o bianco.
Andiamo a mangiarci su, va.

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